Lo sappiamo tutti, ha cominciato Obama. È diventato un idolo perché giovane, bello, idealista e onnipresente sul web. Non dico che sia diventato Presidente per questo, ma di certo è amato in tutto il mondo, e questo per gli Usa potrà significare molto nei prossimi difficili anni, in termini di condivisione dei valori, sostegno e legittimazione della leadership. Il (bellissimo) video “Yes we can” lanciato su YouTube ha recentemente vinto l’Emmy; la sua pagina su FaceBook conta ad oggi 6.410.418 sostenitori di tutto il mondo; su Twitter conta – sempre ad oggi – 1.529.721 “followers” (la Cnn ne ha 1.948.695; il New York Times 1.182.727; Al Gore 1.072.676). Così, la notizia della riduzione dei prezzi dei medicinali per gli anziani – non proprio un tema di rilevanza mondiale – lanciata proprio su Twitter, è stata cliccata 11.634 volte e “retwittata” 50.
Ma sono cose “vecchie”, ed il cambiamento esplora nuovi territori. Il rilievo del tema sociale nell’agenda politica del Presidente sembra andare di pari passo con l’uso e l’empowerment dei social-networks, e non solo quelli “virtuali”. Michelle Obama ha recentemente inviato un video-messaggio speciale su All for Good, un motore di ricerca realizzato da Google in grado di restituire a ogni cittadino statunitense le informazioni sulle attività di volontariato che si tengono nella sua area residenziale (leggi su questo l’esauriente articolo di Webnews.it). Un motore di ricerca sostenuto dalla Casa Bianca, ma open e non gestito dal governo (le associazioni e persino i gruppi “informali” possono registrarsi con relativa facilità), al quale rivolgersi per trovare volontari ai quali unirsi, o chiedere aiuto.
Perché “la distanza non è morta” (leggi il post di “Moto browniano”), ed il web 2.0 può arricchire ed accrescere le reti “reali” (vedi Berra, Sociologia delle reti telematiche, Laterza).
Il rapporto fra politica e media, da parte sua, non è interessante in quanto rapporto fra il politico di turno e i mezzi di comunicazione, ma in quanto rapporto fra politica e società “reale”, che si realizza appunto attraverso i media.
In Italia, lo abbiamo visto nel “caso Serracchiani”: «La novità è che non sono più i vertici di partito a creare gli interlocutori, o non sono più solo loro. E come si nota, gli stessi vertici di partito non hanno in grande simpatia quanto sta accadendo, perchè è un modello che incrina abbastanza la tendenza di tutte le organizzazioni alla conservazione» (come osserva nel suo blog Gratteri). La rete “virtuale” – con la sua logica orizzontale – modifica cioè quella “reale”, con conseguenze sulle dinamiche “verticali” che è prematuro tentare di analizzare.
Nel Regno Unito, ad esempio, lo scandalo dei rimborsi impegna i politici a recuperare il rapporto con i cittadini, più che con i media. E la differenza la fa la capacità di sfruttare al massimo le potenzialità “sociali” ed interattive del web 2.0, la sua (apparente) immediatezza, la sua velocità ed appunto la sua “orizzontalità”. Così, non solo su Twitter c’è DowningStreet, per seguire quello che accade “in casa” del Primo Ministro, ma alcuni giornalisti e politici hanno dato vita al progetto tweetminster.com “the place where real life and politics tweet”. Il sito mostra gli aggiornamenti dei politici-twitters che hanno aderito al progetto: Laburisti, Conservatori, Liberal-democratici, componenti del governo (Westminster), candidati. Inoltre, il sito mette a disposizione una serie di applicazioni per sapere – ad esempio – quali sono i temi più spesso affrontati nei twits.
Per curiosità, sono andata subito a controllare se i componenti del governo consentono ai followers di rispondere ai messaggi, per inviare commenti e domande. La risposta è sì.
Qualche lettura (in italiano):
G. Granieri, Umanità accresciuta: come la tecnologia ci sta cambiando, Laterza (2009), P. Lévy, Cyberdemocrazia, Mimesis (2008) – M. Berra, Sociologia delle reti telematiche, Laterza (2007), D. Pitteri, Democrazia elettronica, Laterza (2007) – S. Bentivegna, Campagne elettorali in rete, Laterza (2006) – S. Bentivegna, Politica e nuove tecnologie della comunicazione, Laterza (2005) – M. Galleri, Partiti senza rete: la politica digitale, Lacalta (2004).
aggiornato il 5 luglio 2009
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