21 ottobre 2009

Morale, razionalità e scienze sociali


Qualche giorno fa, è stata pubblicata la traduzione in inglese del discorso che Ch. Taylor ha tenuto per gli ottant’anni di Habermas. Evidenzio due punti che mi paiono immediatamente connessi alle note che ho qui pubblicate sullo stato delle scienze sociali oggi.

Non mi stanco di ricordare agli studenti che, nel corso di tutto il Novecento, la sociologia ha avuto vita molto difficile nei regimi totalitari.

Una delle ragioni è, naturalmente, la sua natura “critica” e relativizzante. Le scienze sociali ci interrogano infatti costantemente sulla natura umana, mostrandocene le molteplici sfaccettature, nel bene e nel male. Ad essere onesti, però, oggi il relativismo non spaventa più nessuno.


L’intervento di Taylor mi ha fatto pensare ad un’altra possibile ragione, al fatto cioè che la sociologia tende tradizionalmente a resistere agli orientamenti culturali che tendono a fare della morale e dei valori una pura questione di gusti, scelte o orientamenti personali; o anche di istinti, pulsioni o fattori emotivi. Dipendano da fattori sociali e strutturali (come in Durkheim) o abbiano una base più propriamente cognitiva (come in Habermas e molti altri contemporanei), la sociologia rigetta - direi per definizione - l’idea che siano pure idiosincrasie individuali.

http://blogs.ssrc.org/tif/2009/10/19/philosopher-citizen/



La scienza non ha il monopolio della ragione, e la ragione da parte sua non è appannaggio delle sole scienze naturali. Ai regimi totalitari però ha sempre fatto comodo rappresentare gli esseri umani in quando dominati da puri istinti, volontà scoordinate e capricciose, ed egoismi. Non solo per immaginarli più manipolabili di quanto alla prova dei fatti non siano, ma per poter affermare che essi hanno oggettivamente bisogno di essere posti sotto tutela.

http://blogs.ssrc.org/tif/2009/10/19/philosopher-citizen/



L’idea di razionalità dialogica è stata ampiamente discussa e criticata. Altri percorsi sono stati tentati per superare questa che si configura come una delle dicotomie fondanti del pensiero moderno. Tuttavia, ed in riferimento al ruolo della rete nella produzione e nella diffusione della conoscenza, l’idea di una intelligenza collettiva - con tutte le sue ambiguità - torna a riaffacciarsi nel panorama culturale (vedi, tanto per fare un esempio, l’intervento di Weingart, ieri alla Venice Sessions).

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