12 novembre 2009

Il debutto delle cose in società


Sembra ravvivarsi l’interesse della sociologia per quella che veniva chiamata qualche tempo fa la “cultura materiale",  fatta di cose - oggetti naturali o artificiali - che incorniciano ed accompagnano le relazioni sociali, segnando spazi e territori, raccontando storie, trasmettendo memorie.
tutto ciò che ci circonda e che costituisce il mondo umano è opera di miliardi di persone (i vivi e i morti) che hanno plasmato la realtà lasciandovi tracce che sopravvivono al loro lavoro e alla loro scomparsa fisica (Remo Bodei, La vita delle cose, 2009, Laterza, p. 52)
Il marketing, la sociosemiotica e prima ancora l’antropologia culturale e l’etnografia si interessano da tempo alla cultura materiale ed agli oggetti.

In campo sociologico, ricordiamo gli studi Simmel sull’arte e la moda, ma anche il lavoro di Goffman sulla scena sociale: costruzione che ruota intorno ad “oggetti di scena” (un divano elegante, o una tv ipertecnologica) e che indirizza cotenuti, forme e modalità dell’interazione.


Le cose sono dunque considerate veri e propri attanti (Landowski e Marrone, a c. di, La società degli oggetti, Meltemi), che - oltre a costituire il frame dell’interazione - ne consentono il prolungamento nello spazio e nel tempo:
Dislocando l’interazione per associarsi a entità non umane possiamo durare al di là del tempo presente, essere in una materia diversa da quella del nostro corpo e interagire a distanza - cosa assolutamente impossibile per un babbuino o uno scimpanzé (Bruno Latour, Una sociologia senza oggetto?; in Landowski e Marrone)
Non dobbiamo farci ingannare dai contenuti tecnologici o puramente strumentali del nostro rapporto con le cose. È una cattiva abitudine della contemporaneità, quella di svalutare utensili apparentemente fungibili e sostituibili.

Oppure: facciamoci pure temporaneamente ingannare - non si può vivere nemmeno in contemplazione estatica del frigorifero - ma non sottovalutiamo il ruolo dell’artificio e del manufatto nel costituire il mondo dei significati, dei valori e persino degli affetti.

In fondo, gli esseri umani non si sono mai limitati a fare piatti e brocche, ma hanno sempre profuso energie e tempo nel decorarli, lucidarli, esporli, metterli in scena. A farne in questo modo degli attanti della scena sociale, che comunicano e provocano azioni e/o modi di essere e di sentire. Veri e propri compagni di vita sui quali l’investimento affettivo è spesso profondo, come ben sa chi li perde di colpo in una catastrofe.

Lo studio sociologico delle cose trova dunque una ragione (fra le altre, sulle quale mi riservo di tornare in seguito) nell’eterna domanda: che cos’è la “società"? come agisce? in che rapporto è con l’azione e l’interazione?

La domanda teorica della sociologia, che ci guida però nel trovare risposte a problemi immediatamente pratici, come ben sanno urbanisti, architetti e designer.

Un quartiere ben organizzato e bello favorisce la socializzazione, l’incontro e la sicurezza. Lo si intuisce facilmente.

Un oggetto si vende meglio se “comunica” certe cose ed è in grado di dialogare con le persone e con altri oggetti, “intonandosi” con uno stile di vita o un arredo.

E questo - in ultima analisi - altro non è che “struttura sociale". Per la precisione, direi che queste sono le tracce di quella che siamo abituati a chiamare “struttura” ed a pensare come “sovraordinata” in quanto agisce al di là delle nostre intenzioni e dei risultati delle nostre azioni.


Landowski e Marrone, a c. di, La società degli oggetti, MeltemiLatour, Il culto moderno dei fatticci, Meltemi



Remo Bodei, La vita delle cose, Laterza

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