La sede scelta per l'ultimo di questi incontri dedicati alla presentazione delle esperienze maturate all'interno della "pubblica amministrazione che innova" è stata L'Aquila, in quanto teatro di quello che sarà (o dovrebbe essere) un poderoso progetto di ricostruzione che - nelle intenzioni del Ministro Brunetta - costituirà (anzi costituisce già) l'occasione per dare vita ad un nuovo modello di città "tecnologica", anche per quanto riguarda il rapporto fra pubblica amministrazione e cittadini (leggi la sintesi dell'intervento).
In questa foto ci sono anche io |
Due modelli di innovazione a confronto, dunque, quello centralizzato e sostanzialmente top-down delle grandi politiche, e quello per così dire "atomistico", costituito dall'arcipelago delle buone pratiche. Nella pubblica amministrazione questi due modelli convivono quasi di necessità, naturalmente, ma in questa occasione - mi pare - il confronto suonava quasi stridente.
Quando, circa dodici anni fa, nel mio Dipartimento svolgemmo un'indagine sui processi di cambiamento nella pubblica amministrazione, nei territori del Lazio e dell'Abruzzo (vedi il volume Mutamenti globali, governo locale, a c. di L. Frudà), vennero evidenziati alcuni fattori di resistenza all'innovazione:
- la dimensione delle strutture: le strutture di dimensioni medie sono le più adattive;
- l'autoreferenzialità: non solo la "chiusura", ma anche la tendenza a sottovalutare il ruolo di relazioni esterne - anche molto rilevanti o qualificanti - a favore della mission istituzionale, delle procedure e delle dinamiche interne.
- la fame di regole certe e procedure standard, che poco si sposa con i tentativi di introdurre pratiche problem-oriented o customer-oriented.
Ebbene, uno dei principali limiti del modello top-down è che si accorda perfettamente - e direi anche un po' diabolicamente - con la cultura "burocratica" (con l'espressione "burocrazia" ci si riferisce a tutte le grandi amministrazioni organizzate per funzioni, private non meno che pubbliche): il risultato è che ogni innovazione, e soprattutto quella tecnologica, introduce ulteriori elementi di rigidità, anche semplicemente nella forma di nuove procedure standardizzate.
Si confrontino ad esempio la proposta di Futuretech ("Ottimizzazione di processo per un miglior servizio al cittadino" - slides), a confronto con quello di Microsoft ("Dalla dematerializzazione ai servizi al cittadino: una piattaforma integrata per l’innovazione" - slides): centralizzata ed onnicomprensiva la prima, problem-oriented e decisamente specifica la seconda.
Il vantaggio di quest'ultima - mi pare - è la facilità di integrarsi nelle pratiche pre-esistenti con strumenti noti (e - dicono - open: immagino che si riferiscano al formato dei documenti prodotti), introducendo in maniera graduale il cambiamento.
Può accadere in questi casi, che nel tempo, abituandosi alle nuove potenzialità, il personale stesso diventi portatore di nuove domande, suggerendo persino nuove soluzioni, o soluzioni più adattive rispetto ai compiti concreti della struttura. È quanto è accaduto, e accade, nel caso dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo, giudicato peraltro primo fra le 37 migliori pubbliche amministrazioni (slides).
Bisogna sempre tenere presente che allo sportello sta il personale, non i ministri e neanche i dirigenti. Introdurre efficacemente l'innovazione, in questo secondo modello, significa mettere al centro l'interfaccia fra PA e cittadini: valorizzare i saperi e le competenze del personale, insieme alle esperienze già realizzate e maturate.
Le maggiori sfide per gli Enti locali, secondo Microsoft |
[Slides non più disponibili]
D'altra parte, alcune iniziative non possono che essere gestite in maniera centralizzata, per ottimizzare le risorse e valorizzare le esperienze già esistenti. Come è il caso di Linea Amica, ad esempio, che ha senz'altro svolto una funzione importante in Abruzzo, nel momento in cui gli uffici regionali, provinciali e comunali erano "fuori uso" a causa del terremoto (vedi le slides e, per i risultati in generali, il 46^ rapporto settimanale del 2010).
Ma nella PA il modello "razionale" continua a dominare per ragioni soprattutto culturali. Ad esempio, nel corso dell'incontro tante volte è stata ripetuta la parola "modernizzare". Mi chiedo: Si modernizzava negli anni Venti, si modernizzava negli anni Sessanta ... non sarà tardino per modernizzarci ora?
Le burocrazie, oltretutto, sono istituzioni caratteristiche proprio della modernità, dei grandi stati nazionali, delle forme fordiste di produzione ... Sono direi l'emblema della pianificazione razionale delle procedure e dei processi top-down. Non sarebbe ora di post-modernizzarci almeno un po', magari sfruttando le nuove tecnologie del web 2.0 per assecondare e persino facilitare i processi di decentramento?
L'apoteosi dell'approccio "modernizzante" è proprio il modello adottato per la ricostruzione dell'Aquila. L'Aquila è stata addirittura proposta come prototipo, città re-infrastrutturata da capo a piedi, città più cablata d'Italia ecc. Per il modernizzatore (in generale, non mi riferisco solo a Brunetta), l'ideale resta la tabula rasa sulla quale costruire qualche novella Città del Sole.
Non so se il modello adottato sia poi effettivamente questo: colpisce in ogni caso che proporre questa visione sia sembrato al ministro un modo convincente ed entusiasmante di presentare il progetto.
Non voglio neanche dire che le soluzioni tecnologiche che si stanno sperimentando lì non siano interessanti, al contrario: solo che la gran parte dei territori italiani non è (per fortuna) tabula rasa, e (per sfortuna) non riceverà fondi di entità comparabile. Le pratiche della politica sono capaci di accogliere le nuove culture emergenti dell'innovazione, innestandole sul vecchio a costi contenuti, per rinnovarlo?
Il web 2.0 consente (e forse impone) di andare oltre un'altra espressione molto diffusa, divenuta oramai un cliché del burocratichese: "raccogliere i bisogni dei cittadini". I bisogni dei cittadini si "raccolgono" con schede di contatto ed indagini statistiche, per individuare soluzioni che ottimizzano funzioni di utilità. Va bene, per carità, anzi benissimo.
Ma i bisogni oggi si possono anche ascoltare, e soprattutto le soluzioni si possono sollecitare e discutere pubblicamente, grazie a questi nuovi strumenti. Certo, il digital divide impone il ricorso a media differenziati, di modo che tutti i cittadini abbiano effettivamente le stesse opportunità: i social media non possono sostituire le schede di contatto in cartaceo o il numero verde. Ma si tratta proprio di un diverso orientamento nei confronti dell'utente in quanto cittadino attivo capace di esprimere compiutamente i propri bisogni e le proprie valutazioni.
Fra quelli presentati, mi pare interessante l'esperienza di MiaPA, un "social network per il cittadino", che attraverso la piattaforma Mobnotes intende fornire un servizio di social check-in e geolocalizzazione, per trovare, segnalare e valutare i servizi della pubblica amministrazione in tempo reale e in loco. L'idea di fondo è quella di rendere più accessibili i servizi, stimolare la collaborazione e la partecipazione dal basso (i cittadini possono inserire informazioni ed aggiornamenti in tempo reale), ed infine rendere social nonché accessibile in tempo reale anche la valutazione dei servizi stessi da parte degli utenti (slides: i dati sono pubblicati con licenza open-data).
Con il web 2.0, in una parola, e-government e e-democracy sono costrette ad andare a braccetto, utilizzando persino gli stessi strumenti. E all'Aquila, un po' più di partecipazione dei cittadini alla ricostruzione, non farebbe certo male.
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