Se devo dire la sincera verità, "patria" e "nazione" sono parole che non mi hanno mai particolarmente commossa.
Se ognuno ha un suo paesaggio interiore, il mio è certamente un paesaggio italiano. Ma d'altra parte si sa anche come sono nati gli stati nazionali.
Qualcuno era d'accordo, e qualcun altro no. Qualcuno voleva il re, e qualcun altro la repubblica. Qualcuno lo stato unitario, e qualcun altro una federazione di stati. E questo quando se ne è discusso.
Perché molto hanno fatto le guerre. Qualcuno è stato costretto ad essere cittadino italiano, e qualcun altro a diventare cittadino di qualche altro stato. E questo quando i confini erano cintati di filo spinato, e rigorosamente controllati. E magari dopo avere combattuto in nome di un'altra patria, con un'altra divisa e sotto un'altra bandiera.
Ma già da prima tanti italiani se ne erano andati a lavorare all'estero, e sono diventati cittadini stranieri, restando anche un po' italiani. E più tardi altri ne sono arrivati, e sono diventati cittadini italiani, restando però anche un po' "stranieri".
E prima ancora, gente che è andata ed è venuta attraverso il mare, e si è fermata con la sua lingua e la sua cultura, che ritroviamo ancora quasi intatta qui e là per l'Italia.
In tutto ciò, lo stato unitario oggi si trova - come suol dirsi - di fronte a sfide nuove. Mentre stiamo discutendo di se e come i Borboni in fondo non erano poi così male, dei "se Mazzini" e i "quanto Garibaldi", è arrivata la crisi finanziaria dagli Stati Uniti, i cinesi fanno il made in Italy a Prato, la Fiat fa il made in Usa a Detroit, e qui dobbiamo occuparci di giovani laureati tunisini che arrivano a Lampedusa perché per loro quella è l'Europa.
Spero quindi che questa festa sia l'occasione per riflettere su quello che dobbiamo e possiamo ancora fare insieme, invece che per mugugnare sul passato.
Frugando nei ricordi delle scuole medie, ho ritrovato questo brano che solo ora realizzo essere stato scritto negli anni di piombo. Lo dedico all'Italia, l'Italia tutta intera.
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