Le infedeltà di Tiger Woods sono l’argomento di un post di Everyday Sociology Blog, che illustra una delle possibili interpretazioni - quella funzionalista - del nostro ossessivo interesse per gli scandali ed in particolare per quelli legati alle infedeltà coniugali.
Non pochi considerano ipocrita chi si “scandalizza” per le infedeltà coniugali e/o le intemperanze sessuali di celebrità e politici. Come a dire: “chi è senza peccato scagli la prima pietra". Scagliare pietre (o altro) è sempre sconsigliato, naturalmente, ma nella celebrazione mediatica dei grandi scandali pubblici è possibile vedere una celebrazione collettiva dei valori considerati importanti da una società.
Ma se l’infedeltà è tanto diffusa, in che senso la fedeltà coniugale è un valore importante e condiviso? Se è vero che - come qualcuno ha detto - “Due cose sono certe nella vita: la morte e l’adulterio", è anche vero che pochi sono disposti ad accettare con olimpica serenità il tradimento. O a consigliare l’adulterio alla propria migliore amica. Si tratta insomma di un valore condiviso nel senso che la gran parte di noi ritiene che in generale la fedeltà sia una cosa giusta: tant’è che - anche se sappiamo che nessuno è un santo - l’adulterio resta una delle cause principali di divorzio.
A ciò si aggiunga il fatto che abbiamo la tendenza a costruire immagini totali (e quindi un po’ integraliste) delle persone: tendiamo cioè a supporre che chi è infedele e bugiardo in casa, lo sia anche nella vita pubblica. Questo vale per il vicino di casa non meno che per le celebrità, mentre naturalmente non vale per noi stessi o per le persone che conosciamo più intimamente. Ma è proprio delle informazioni che riguardano le persone che non conosciamo intimamente che potremmo avere più bisogno per poterci fare un’opinione sul mondo che ci circonda.
Nella prospettiva funzionalista la celebrazione collettiva dello scandalo attraverso i media servirebbe a rinsaldare il legame sociale e a riaffermare il fatto che certi valori sono effettivamente condivisi ed importanti. Oltre a Durkheim, l’autrice del post cita il volume di Dayan e Katz Media Events: The Live Broadcasting of History (Le grandi cerimonie dei media. La storia in diretta): un testo che, pur insistendo forse troppo sulla capacità dei media di creare codici condivisi di interpretazione della realtà, descrive la funzione celebrativa e rituale dei grandi eventi mediatici.
D’altra parte, l’autrice ci ricorda anche che in una società complessa i “valori importanti” possono essere numerosi e in conflitto fra di loro. Ed è forse questo che ci fa sembrare un pochino ipocriti nel momento in cui ci “scandalizziamo” per gli errori o i vizi degli altri, mostrandoci non solo migliori, ma anche meno complicati, di quanto effettivamente non siamo.
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