4 gennaio 2010

Pettegolezzi, chiacchiere, rumors

Nel post precedente, accennavo al bisogno che abbiamo di raccogliere informazioni sulle persone che conosciamo poco o non conosciamo affatto, e che - per una ragione o per l’altra - consideriamo rilevanti o significative.

Che siano vicini di casa, produttori di elettrodomestici, candidati politici o star dello spettacolo, questo interesse finisce per produrre chiacchiere e pettegolezzi. Il che spiega tanto il successo dei giornali “scandalistici", quanto quello del buzz marketing. Anche le persone meno pettegole finiscono infatti per parlare della qualità dei prodotti di questo o quel commerciante, o per raccontare - solo ai parenti più stretti, naturalmente! - che hanno visto il figlio della vicina passare con una nuova fiamma vestita così e così.

Attraverso questa circolazione di informazioni - in sé poco controllabile - si vengono a costituire rappresentazioni condivise di persone o anche di cose (la reputazione), che di solito hanno la caratteristica di essere totalizzanti (si parla in sociologia di “etichetta” o - in senso negativo - di “stigma").

Queste rappresentazioni poggiano a loro volta su altre rappresentazioni, valori e norme che vengono ad essere “attualizzate” proprio dalla relazione comunicativa costituita dalla chiacchiera. Il pettegolezzo diventa così uno strumento formidabile di controllo sociale (nei confronti della persona “chiacchierata") e di riconferma del legame sociale e dei valori condivisi (da parte di coloro che “chiacchierano"). Il semiologo Fabbri parla di vere e proprie armi parlanti.

Il pettegolezzo non svolge la sua funzione in relazione alla verità/falsità dei contenuti trasmessi, ma in relazione ai giudizi ed ai commenti che veicola. Anche se quello che viene detto di una persona non corrisponde a verità, è il giudizio generale a produrre i risultati voluti. Il timore dello stigma produce infatti conformità dei comportamenti; mentre lo stigma da parte sua produce esclusione (ed alla lunga devianza o allontamento).

Da sottolineare peraltro come spesso l’inappropriatezza dei comportamenti viene interamente proiettata all’esterno da parte di un gruppo verso un altro gruppo. Sarebbero ad esempio solo gli immigrati, o gli abitanti delle periferie, a commettere certi reati. Solo “certe persone” possono fare “certe cose". Riservandomi di tornare su questo aspetto, mi limito a segnalare il fatto che la definizione del confine noi-loro (identità) è di importanza capitale non solo nell’affermazione del legame sociale e dei valori condivisi, ma anche nel costruire la credibilità della chiacchiera, come è possibile constatare ad esempio nel buzz marketing (noi clienti - loro produttori).

Nei confronti del destinatario, l’oggetto del pettegolezzo si trova infatti normalmente in una posizione svantaggiata rispetto alla fonte: mentre cioè il destinatario conosce bene e/o si fida della fonte, spesso non conosce affatto - o conosce poco - la persona o la cosa chiacchierata. Poiché in questi casi la credibilità dell’informazione dipende quasi interamente dalla credibilità della fonte, anche se il fatto non è “oggettivamente” vero (quel cellulare non è veramente il migliore in commercio; quel fruttivendolo non è veramente così disonesto), il giudizio viene accolto come informazione significativa (quell’utente è veramente molto soddisfatto di quel modello di cellulare; quel cliente è veramente molto scontento del fruttivendolo).


Leggi anche: N. Elias e J. L. Scotson, Strategie dell’esclusione, Bologna, Il Mulino; M. Livolsi e U. Volli, Rumors e pettegolezzi, Milano, FrancoAngeli; R.D. Sommerfeld et al., “Gossip as an alternative for direct observation in games of indirect reciprocity“;



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