6 gennaio 2010

Il posto delle scienze umane e sociali secondo Wieviorka

Mentre in Italia la riforma del liceo delle scienze umane - e più in generale della scuola superiore - non pare suscitare grandi reazioni da parte del mondo accademico, qualche giorno fa Michel Wieviorka (direttore dell'Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales e presidente dell'Associazione Internazionale di Sociologia) è intervenuto sulla riforma dei licei in Francia, esprimendo preoccupazione non solo per la riduzione del numero di ore di insegnamento della storia, ma anche per il progressivo declino delle scienze umane e sociali in Francia.

L'intervista a Le Monde affronta in particolare la questione dell'utilità delle scienze umane, punto sul quale si è sviluppata l'opposizione del mondo accademico e dei movimenti studenteschi nei confronti di riforme che - in Francia come in Italia - tendono a privilegiare i corsi di studio e gli insegnamenti meglio spendibili sul mercato del lavoro.

Se l'orizzonte è solo la ricerca, le prospettive sono scarse. Molti si ritrovano con un dottorato di ricerca a svolgere lavoretti con contratti di breve durata. Eppure, abbiamo bisogno di persone preparate nelle scienze sociali ovunque! Nei sindacati, ONG, associazioni, servizi sociali, nel sistema ospedaliero, nel settore militare, nell'editoria, nei media, nella pubblicità, ecc.
A questo proposito, e come accaduto già a proposito dell'affaire foulard, Wieviorka è piuttosto severo con i sociologi accademici:
Ci sono, schematicamente, tre concezioni del nostro ruolo nella vita pubblica. Alcuni si propongono come esperti. Sono al servizio di imprenditori, attori politici o sindacali, ONG ...

Altri si rifiutano di farlo e vogliono essere solo critici, ipercritici - una posizione radicale, lontana da qualsiasi atteggiamento costruttivo, e alla quale i media sono affezionati: a loro piace il sospetto, la denuncia. Queste due posizioni rappresentano la maggioranza dei punti di vista. Ma un terzo punto di vista, meno diffuso e nel quale mi riconosco, auspica che la ricerca produca conoscenze che, pur avendo una dimensione critica, possano anche essere utili.
L'incapacità di entrare in contatto con i problemi reali della società e quindi anche con le richieste del mercato è - a mio avviso - uno dei segnali del declino culturale di discipline che dovrebbero distinguersi da altre (la filosofia ad esempio) per capacità di analizzare ed interpretare empiricamente la realtà.

Questa incapacità, oltre ad esporle ai tagli più penalizzanti da parte dei governi (non solo dei nostri, come si vede), le mantiene distanti dai nodi focali dei mutamenti sociali e culturali in atto, marginalizzandole di fatto nel dibattito pubblico.

Riflettere sul ruolo delle scienze umane e sociali mi pare insomma la cosa più utile che si possa fare, tanto per comprendere (criticamente) le tendenze in atto, quanto per individuare per esse un posto attivo nella società.

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