4 dicembre 2011

Quando lo Stato non c'è, i mercati ballano

BCEDa tempo mi ero ripromessa di scrivere un post di risposta al commento di Niccolò Cavagnola, sul tema del mercato come istituzione sociale.

Quello che sta accadendo nell'Eurozona mi offre l'occasione per rispondere con un esempio concreto.
Il fatto che il “mercato” sia un’istituzione sociale, da Durkheim a Polanyi, è una delle prime cose che vengono insegnate nei corsi di sociologia: ma cosa si intende di preciso con ciò? Che il mercato è stato “progettato”? O che richiede delle istituzioni per funzionare (borse valori, diritto civile, mercati come luoghi fisici, comunicazioni, …)? La prima posizione mi è sempre parsa particolarmente assurda. La seconda, che mi sembra in realtà corrispondere all’analisi dei modelli di integrazione di Polanyi, in realtà non confligge in alcun modo con la visione dei teorici “liberisti”, da Smith ad Hayek (ad eccezione forse degli anarco-capitalisti à la Rothbard, che costituiscono comunque una minoranza totalmente screditata all’interno della teoria economica): il mercato necessita di istituzioni, che nascono per risolvere i problemi sorti da milioni di scambi indipendenti. In tal senso non ho mai compreso l’opposizione così radicale, presente nei manuali di sociologia, tra le teorie del mercato come “processo naturale” e le teorie più “istituzionali”. La visione del mercato come processo “dal basso” non esclude in alcun modo la possibilità che da questo sorgano istituzioni (su questo si era soffermato piuttosto bene già Hume).
Infatti è proprio così. La questione si pone in quanto il neoliberismo ha spacciato l'idea che lo Stato (e dunque la politica) siano irrilevanti e persino dannosi per la libertà e la crescita economica. Costi esosi ed ingiustificati, in quanto non produttivi. Sullo sfondo di questa ideologia, si è sviluppata l'antipolitica, il neopopulismo, ed anche una certa predilezione per la razionalità tecno-burocratica che esclude il luogo della politica per eccellenza, ovvero la contrattazione (la concertazione vista come inciucio).

Idee lontanissima dalle posizioni del liberalismo classico, secondo cui l'autonomia fra Stato e mercato non si traduce affatto nello smantellamento delle funzioni di garanzia e di tutela dello Stato stesso, necessarie proprio affinché il mercato resti libero, e affinché i diritti dei singoli attori economici (lavoratori, imprenditori, consumatori) non vengano schiacciati dall'inevitabile insorgere di posizioni monopolistiche e oligopolistiche, ovvero dall'homo-homini-lupus.

Non c'è alcuna contraddizione fra teorie del mercato come istituzione sociale e liberalismo, anzi. Quando si dice che il mercato non è un dato "naturale", si intendono alcune cose molto più "basiche", quali ad esempio che il comportamento razionale previsto dallo scambio di mercato non è affatto "naturale", ma è qualcosa che si apprende, e che dipende dalle culture nazionali: tant'è vero che in Italia esso entra spesso in conflitto (ad esempio) con il familismo più o meno immorale, o con la tendenza a creare consorterie di vario genere - oligopoli ancora più pericolosi, in quanto nascosti (vedi i posts sul tema del particolarismo).

O ancora, si intende dire che desiderio di fare profitto e desiderio di diventare ricchi sono cose molto diverse: fare impresa è legittimo, rubare no. Vendere frutta è legittimo, vendere cocaina no. Nel Medioevo - quando lo Stato non esisteva - queste distinzioni non erano chiarissime: i pirati commerciavano tranquillamente le merci rubate, ed i Templari dovevano difendere con le armi non solo i pellegrini, ma anche i commercianti che si spostavano fra Occidente e Oriente.

Il neoliberismo ci ha convinti che lo Stato è un costo inutile; che non solo il mercato si autoregola, ma che autoregolandosi è in grado di costituire il modello di regolazione della società. E ciò in quanto gli esseri umani sono intrinsecamente desiderosi di profitto, e intrinsecamente razionali.

Negli anni Ottanta, però, le donne e gli uomini dell'Occidente erano desiderosi di ricchezza e razionali grazie ai due secoli di storia che avevano alle spalle, grazie alla cultura democratica e liberale non meno che ai molti progressi sociali che avevano diffuso benessere, istruzione e coscienza dei propri diritti. Altro che natura. Concordo dunque con Niccolò quando scrive:
In questo secondo me la sociologia, visto che tra Spencer e Durkheim pare abbia vinto il secondo, si trova parecchio indietro, continuando ad abbracciare una visione dell’ordine sociale come “organizzato” piuttosto che “organizzante” e cercando piuttosto automaticamente le cause di organizational failure in una mancanza di regolazione, piuttosto che, almeno come working hypotesis da sottoporre a controllo e scartare, in una sua forma cattiva o semplicemente eccessiva.
A voler essere evoluzionisti fino in fondo, comunque, si dovrà riconoscere che l'ordine sociale è tanto organizzato quanto organizzante: esiste anche una dimensione volontaristica nella forma delle istituzioni sociali e statali (leggi, norme, costituzioni, sistemi elettorali, sistemi pensionistici ecc. non si fanno da soli), le quali a loro volta organizzano i comportamenti degli individui, evolvendo con conseguenze spesso inattese.

C'è stata la precisa volontà di smantellare lo Stato e l'etica pubblica, di promuovere la libertà individuale agli estremi limiti dell'opportunismo, di favorire le ricchezze in qualunque modo si creassero. Ed è così che oggi lo Stato e la politica si sono trovati disarmati ed impossibilitati ad agire di fronte ai meccanismi del mercato (leggi questo post sul paventato referendum in Grecia).

I leader europei non soffrono solo di mancanza di potere (leggi questo post sulle élites globali ), ma anche - e palesemente - di mancanza di idee, sotto l'effetto del lavaggio del cervello in cui le classi dirigenti occidentali si sono formate.

E il paradosso è che probabilmente basterebbe a rassicurare i mercati - più che misure draconiane, necessarie forse, ma non più efficaci della classica "pezza" sulla falla della nave che affonda - il semplice avvio di un processo politico nuovo, con risultati anche a medio termine. I mercati hanno bisogno di istituzioni capaci di garantire il rispetto delle regole, non di istituzioni che mettano a verbale le "leggi del mercato".

1 commento:

  1. [...] citato da Sociospunti in merito a una discussione su “mercato come istituzione sociale”. Mentre mi sembra di [...]

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