26 gennaio 2012

La Net Comunicazione Politica

pubblicato ieri su LaDemocrazia.it

Conosco Francesco Pira da tanti anni, ed una cosa su cui mi sono sempre trovata d’accordo con lui è che parlare di “propaganda” oggi può essere qualcosa di più di una mera provocazione, o di un vezzo da intellettuale d’altri tempi.

Tempi oramai passati e superati, rispetto alla nostra esperienza democratica non meno che all’evoluzione della sfera mediatica in senso stretto. Ma non erano, quelli, i tempi del populismo? E non è di comunicazione, di immagini, di semplificazioni che quest’ultimo si nutre?

Il libro di Francesco Pira, docente di Relazioni Pubbliche e Comunicazione delle Organizzazioni Complesse presso l’Università di Udine, ci ricorda che esiste il rischio concreto - recentemente sottolineato anche da Morcellini - che la rete stia “attivamente collaborando alla diffusione dell’ignoranza pubblica … uno degli ingredienti fondamentali, se non la matrice profonda, del populismo”.

Se «compito della comunicazione politica è quello di utilizzare in una strategia efficace i nuovi e i vecchi strumenti per rendere i messaggi chiari e agevolare la partecipazione» (p. 9), il fatto è che, nonostante le grandi potenzialità offerte dalla rete, tale compito resta sostanzialmente disatteso, specialmente in Italia.
D’altra parte, è inutile cercare le origini di un problema “vecchio” nei media “nuovi”: il problema sta semmai nella politica, da una parte, e nel sistema della comunicazione, dall’altra. Ma anche nella debolezza di una società civile che, a fasi alterne e a geometrie variabili, finisce con l’essere o troppo vicina o troppo lontana rispetto ai partiti.

Meritevole da parte dell’autore è anche il tentativo di mantenersi equidistante dall’ottimismo globalista di Castells (pure abbondantemente citato nel testo) o di Lévy, non meno che dal pessimismo apocalittico di Morozov.

"La Net Comunicazione Politica" propone invece una panoramica del quadro istituzionale e sociale nel quale la Net-Politica si inserisce, per cercare di tracciare i contorni di un fenomeno destinato ad essere sempre “nuovo”: l’evoluzione della sfera pubblica ai tempi del televisione-centrismo; la frammentazione dei luoghi della produzione culturale - ma anche delle pratiche politiche e partecipative; la post-politica e la disaffezione dei cittadini-elettori nei confronti dei partiti tradizionali; il difficile compito dell’informazione giornalistica, fra user-generated content, iperlocalismi … e chiacchiericcio (pardon, buzz).

L’agorà virtuale non di rado diventa piazzetta. Qui da noi poi, nel Paese dei paesi, è più che probabile che accada.

Lo stile partecipativo che la Rete sollecita appare all’Autore «molto difficile da coniugare con lo stile comunicativo italiano»: «Partiti e candidati che non costruiscono la relazione all’interno di un discorso politico chiaro non sono in grado di costruire un vero spazio di condivisione» (p. 33-35).

Ed in effetti, i siti meglio confezionati seguono le regole del marketing politico, e sono ben poco partecipativi: a volte, c’è proprio poco a cui partecipare; in altri, si avverte invece la difficoltà di gestire un contesto in beta permanente. La veloce evoluzione delle tecnologie mal si accorda infatti con i rituali delle decisioni di partito. Last but not least, il sistema dei media ha abituato i partiti (e non solo) ad avere il controllo su comunicazione e contenuti, facendo apparire adesso il web 2.0 come un mare troppo aperto.

Passando dai siti dei partiti o dei candidati più in vista alla miriade di soggetti (a vario titolo definibili) politici si dovrà riconoscere che ogni tanto, sulla rete, «la politica riesce anche ad essere più volgare della televisione» (p. 36). Senza par condiciowisdom of the crowds, chi può frenare il post-populismo e/o la politica neo-pop?

Del resto, proprio nel fitto della subpolitica e dei candidati locali, possono nascondersi (rare) esperienze innovative, che testimoniano di quella "resistenza comunitaria" a cui fanno riferimento - per aspetti diversi - Bauman e Castells.

Se insomma nel volume appare alquanto sottovalutata la complessità della relazione globale / locale nel definire luoghi e configurazioni della network society, ed in particolare la dimensione prettamente locale del discorso politico, è anche vero che le forme contemporanee del populismo e della propaganda trovano il loro humus nel fatto che, in linea di massima, «la nostra dimensione politica si genera tutta all’interno dell’arena mediatica di cui anche i social network fanno parte» (p. 30). La politica italiana, poi, «anche in virtù della nuova legge elettorale, che ha creato uno scollamento forte tra territorio/cittadini ed eletto, si muove tutta all’interno dei contenitori mediatici tra i quali la televisione gioca il ruolo principale» (p. 22).

I rilevanti segnali di cambiamento che si sono osservati nelle ultime elezioni amministrative e nella campagna referandaria, infatti, hanno riguardato più il subpolitico che la politica istituzionale, la quale, in rete, deve «prima di tutto comunicare con queste comunità che corrispondono in alcuni casi al cosiddetto “movimentismo”» (p. 68), avendo ben chiaro che «per essere inclusi nella rete globale è necessario diventare un nodo, utile alla rete stessa» (p. 59).

Diversamente, conclude Pira, «siamo alle solite: si vende per comunicazione politica il marketing elettorale che rischia di essere “propaganda”» (p. 106).

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