Il familismo amorale. Nel 1958 Banfield pubblicava The Moral Basis of a Backward Society (in italiano: Le basi morali di una società arretrata), introducendo una espressione destinata ad essere poi diffusamente utilizzata per indicare l’assenza di etica pubblica in Italia, ed in particolare nell’Italia meridionale.
Il particolarismo che si esprime nel familismo amorale presenta una sua specificità in quanto non si estende oltre la soglia di casa: la stessa comunità di appartenenza – il paese – è già “terra” di nessuno.
Mentre quindi esistono chiare regole relative a ciò che è bene e ciò che è male, tali regole non si applicano alla sfera pubblica. A voler essere esatti, bisogna peraltro precisare che in tali contesti la distinzione fra sfera privata e sfera pubblica appare del tutto priva di senso. La privacy è infatti una invenzione “borghese” – cioè moderna e riferibile in via quasi esclusiva ai ceti medi urbani dei paesi nordeuropei a prevalenza protestante – così come la corrispondente definizione di sfera pubblica per come la intendiamo oggi (cfr. in particolare Giddens, Modernity and Self-Identity).
L’uso a fini privati di beni ed incarichi pubblici può finire con l’essere giustificabile agli occhi degli amministratori locali, e persino a quelli degli stessi cittadini che ne subiscono le conseguenze, e non sempre si sentono privati di qualcosa che spetta loro di diritto: è “naturale” chiedere come un favore di poter usufruire di qualcosa che non ci appartiene.
L’altro aspetto da sottolineare è che – in questi casi – vale l’economia della reciprocità, più che quella dello scambio (Polanyi): per evitare di pagare una multa, non si paga una tangente, si cerca il parente o l’amico vigile (o che è a sua volta parente o amico del vigile). Analogamente, quando non si hanno i contanti (e tantomeno un conto in banca) perché manca il lavoro si attiva il baratto, o il sistema generalizzato degli sconti-agli-amici-degli-amici. Ed intanto si cerca un lavoro attraverso le “conoscenze”. Niente di più naturale, in fondo.
Ecco quindi che questa “Italia fatta in casa” riesce ad esprimere un genere di solidarietà sociale che facilmente può trasformarsi in vera e propria collusione, e che si difende tenacemente dalla modernità, dalle logiche di mercato e – se necessario – anche da una legge che “impedisce tutto”, e rende “impossibile vivere”.
Naturalmente, questi meccanismi generano ed accentuano le asimmetrie di potere e la corruzione; e – quel che è peggio – hanno favorito e continuano a favorire (in alcuni contesti) il radicarsi nella società civile della criminalità organizzata.
Quando l’etica si estende al campanile. Il familismo amorale, come dicevo all’inizio, è solo una delle forme che può assumere il particolarismo. L’immagine di un Nord mitteleuropeo industriale e modernizzato, e di un Mezzogiorno “arretrato” (come lo definisce Banfield) si è andata per così dire “ammaccando” nel tempo, insieme alle certezze della modernità e sui processi di modernizzazione. Del resto, il particolarismo dei movimenti a base etnica e/o territoriale dell’Europa centrale ha rappresentato un duro colpo per quanti avevano creduto che certi orientamenti culturali, una volta gettati dietro le spalle, fossero destinati ad essere “superati”.
Il familismo amorale non è quindi il solo tipo di particolarismo che possiamo trovare in Italia. In altri contesti, l’etica si estende fino al “campanile”, e i singoli, riconoscendo la propria appartenenza all’intera comunità, mostrano una spiccata tendenza alla cura del territorio ed anche dei beni pubblici. Ma anche comportamenti meno virtuosi, che spaziano dalle aneddotiche rivalità fra comuni limitrofi (il campanilismo appunto), alla xenofobia vera e propria. Spesso, aspetti positivi e negativi producono combinazioni ambivalenti e di complessa interpretazione, come è il caso della cultura localistica ed identitaria che ha dato linfa al movimento della Lega.
Le differenze di tradizione civica (cfr. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane) certamente restano, così come i casi di buon governo e buone pratiche in termini di sviluppo locale e convivenza civile. Ma non ci dobbiamo stupire più di tanto se l’Italia “linda e pinta”, che si autorappresenta culturalmente ed eticamente compatta, mostra la tendenza ad attribuire le cause del disordine sociale e dell’anomia agli “stranieri” (prima furono i “terroni” ora gli “extracomunitari”). Né che l’altra Italia – quella “sporca e dissestata” – spesso è calorosa ed accogliente solo con “quelli che si fanno gli affari loro e non rubano il pane in casa mia”.
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