17 settembre 2011

La gente ti odia, ma perché ti odia? ... Solo perché è invidiosa!

Ultimamente l'invidia sembra essere diventata una categoria della politica. Le dichiarazioni di Putin su Berlusconi ne rappresentano forse la consacrazione definitiva.

Del resto, l'invidia è un "fatto sociale": è un sentimento che viene rivolto ad altri, in riferimento a beni considerati desiderabili in base ai valori diffusi in una società.

Esempio ne sia questa impressionante intervista, andata in onda ieri a "L'ultimaparola", ad una escort ospite del nostro Primo Ministro


Invidia - etimoInvidiamo chi non ammiriamo. L’ammirazione è un sentimento positivo, che si prova nei confronti del grande pianista, dello sportivo eccezionale, del proprio maestro o professore. L’invidia, invece, è figlia del rancore.

Ma - ed è la cosa su cui stavo riflettendo in questi ultimi tempi - se si invidia piuttosto che ammirare, o se non si riesce ad andare oltre l'invidia, è perché manca un’etica della competizione. Ci insegnano sin dalla scuola non solo che siamo tutti uguali, ma che dobbiamo essere tutti uguali. Non ci dobbiamo distinguere ("non ti far riconoscere"). Non sta bene entrare palesemente in competizione.

Non potrò mai dimenticare una mamma che andò a lamentarsi dalla maestra che aveva organizzato un concorso - mi pare - di scrittura: “E poi quelli che perdono? perché devono sentirsi umiliati?”.

La nostra è una società conservatrice, di quel conservatorismo contadino che apprezza ciò che è conosciuto e consolidato, ed è sempre diffidente nei confronti del nuovo. “Chi lascia la strada vecchia per la nuova …”.

In un tale contesto, la competizione non ha alcuna base di legittimazione e viene vista solo come fonte di conflitto. E, non essendo legittimata, non ha regole.

Frenare l’ambizione e condannare il senso di frustrazione dovuto all’insuccesso come fosse colpevole (da “sfigato”) sono due facce della stessa medaglia: non ci insegnano ad alzarci e ricominciare, a misurare realisticamente i nostri limiti e sviluppare le nostre potenzialità anche gareggiando.

La mamma di cui sopra sarebbe forse stata la prima a considerare la figlia una “perdente”, se non avesse vinto. Non era in grado di insegnarle ad accettare il risultato, gestire la frustrazione, e soprattutto ad ammirare le qualità altrui per svilupparle nei limiti del possibile.

E, del resto, come finì? Che vinse un ragazzino di cui si disse poi che si era fatto scrivere il racconto da qualcun altro. Pettegolezzi, forse, che servivano ad alleggerire il senso di “sconfitta” degli altri. Ma il risultato fu che la maestra rinunciò ai concorsi, e io ebbi una certa difficoltà a gestire l’indignazione di mio figlio senza alimentarne il rancore.

Di certo, aveva vinto il rifiuto della competizione. “Nella vita c’è sempre qualcuno che non rispetta le regole, e qualche volta la fa franca - dissi allora - ma sotto sotto sa di non avere vinto veramente”.

Il problema è che quando non ci sono regole - à la guerre comme à la guerre - chi vince barando la fa sempre franca, e per di più pensa di essere un “gran figo”. Questa è la triste verità. Si va alla guerra per vincere, non per partecipare.

Tutti si sentono legittimati a farsi gli “affari propri”: “E che, non mi posso prostituire? E che, c’è qualche legge che me lo vieta?”.

Il cielo stellato continua ad essere sopra di noi, ma inizio seriamente a pensare che la legge morale non sia dentro di noi. Oppure, che, esercitandoci con costanza, siamo diventati ben sordi alla sua presenza.

Il tutto finisce per alimentare (mi pare evidente ma cercherò di chiarirlo brevemente) una società di diseguali - anch’essa di stampo premoderno.

Ad esempio. Mostrare eccessiva ambizione è considerato moralmente disdicevole: ma se si ha già denaro e potere, allora l’ambizione viene quasi universalmente ammirata: “Un uomo eccezionale” è espressione che legittima - a posteriori - i risultati già ottenuti, non l’impegno profuso per raggiungerli. Al contrario, è molto probabile che l’ambizioso che “osa” sfidare il potente di turno sarà malvisto e definito (ad essere gentili) uno “squalo”.

In una parola, pochi possono fare tutto, e i più non possono osare niente. Pochi faranno una vita “da leoni”, e molti vivranno “da pecore”, per ricorrere alle categorie interpretative utilizzate dalla signora intervistata. Categorie che ben rappresentano l’inesistenza di quel contratto sociale, che impedisce alla competizione di diventare homo homini lupus.

(Ricordo per inciso a questi maestri della scuola di pensiero "botte-piena-moglie-ubriaca" che l'eroico invito era a morire da leoni, per non dover vivere da pecore)

Altro elemento che mi dà da pensare. L' intervistata dà per scontato che ad invidiare siano sempre e solo le “pecore”. Io penso che si sbagli, e di grosso.

Chiunque abbia minimamente frequentato certi ambienti sa bene che ci si odia e ci si guarda male per un favore, un abito, un automobile di lusso, una barca a vela. Queste persone provano l’una per l’altra - ad un tempo - ammirazione e disprezzo: ammirazione per quello che l'altro possiede, e disprezzo per il modo in cui lo ha ottenuto.

Ci si scherza, ci si fanno battute da caserma pronunciate spesso con tono blasé. Si ostenta distacco e cinismo, da “persone di mondo”, o da gente che "ha fatto il militare a Cuneo". Ma questa micidiale mistura di ammirazione e disprezzo si chiama invidia.

Né del resto mi pare di leggere nelle parole di questa signora “ammirazione” per il modo in cui Tarantini o Berlusconi hanno ottenuto denaro e potere. No. Chiama Berlusconi  “l’Imperatore” e sembrerebbe pensare che si “meriti” le belle ragazze e bella vita, perché ha i soldi. Onore al vincitore.

In tutto questo, devo ammettere che mi riesce davvero difficile comprendere come possa essere minimamente pensabile utilizzare l’argomento "invidia" per giustificare l'altrui ostilità, dopo una pietra miliare come Frankenstein Jr. Chiudo quindi citando non Nietszche, ma il dr. "Frankesteen" :
Ehilà bellissimo! [la Creatura si guarda intorno, confusa] Sei veramente un gran bel ragazzo, lo sai? La gente ride di te. La gente ti odia, ma perché ti odia? ... Solo perché è invidiosa!

2 commenti:

  1. io penso che l'uomo odia, chi è, come lui vorrebbe essere, ma nn ci riesce e per nn sentirsi inferiore lo critica e lo  discrimina agli occhi degli altri

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  2. Ciao, Carla! Sì, l'invidia è un modo per difendersi dall'idea di essere inferiore a qualcun altro. Infatti la proviamo tutti, solo che alcuni/e graffiano lo sportello della macchina del/la "rivale", e altri no :-)
    Un bacio!

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