23 febbraio 2009

Le radici dell’eccellenza

Parlare di “identità dei territori” significa fare riferimento non tanto alla dimensione “etnica” dell’appartenenza, quanto piuttosto ad uno specifico intreccio di fattori che individuano ogni territorio nella sua unicità.

Questo intreccio può essere raffigurato come una rete che si dispiega non solo in orizzontale ma anche in verticale, come quella formata dalle radici degli alberi che si incontrano e si intrecciano nelle profondità del terreno: embedded. La dimensione orizzontale di questa rete è sociale, la dimensione verticale è storica: la direzione che prendono i rami ed il modo in cui si annodano è imprevedibile (ma non per questo ingovernabile), ciò che si è sedimentato non può essere modificato a piacimento, ha bisogno di tempo sempre, e talora di un intervento volontario e consapevole.

I risultati dello studio recentemente presentato dal Censis — Sua eccellenza il territorio — (che si può scaricare dal sito) mi convincono del fatto che la solidità e la forza di queste radici è dovuta proprio alla complessità della loro struttura, che rende impraticabile una lettura semplificante di questi fenomeni e la ricerca di un modello interpretativo unico.


E mi riconfermano nell’idea che le radici possono diventare troppo rigide e troppo impenetrabili, trasformandosi gabbie — non le weberiane gabbie d’acciaio, gabbie al contrario calde e vive, ma pur sempre gabbie. Non per niente certe ambigue retoriche del “locale” vengono messe da parte sin da subito:
Come spesso succede ai paradigmi resi luoghi comuni dalla retorica delle classi dirigenti, anche l’archetipo territoriale appare un po’ sbiadito, sballottato fra i cultori della macro economia che letteralmente non lo vedono, ovvero non lo conoscono e non lo riconoscono come fattore decisivo per il nostro sistema economico, e i cultori dello sviluppo dal basso, della dimensione micro che ormai non lo rappresenta più (p. 1).
Così il Censis in questo rapporto torna a proporre una riflessione metodologica sulla dimensione locale, nel tentativo di superare una delle molte antinomie che affliggono la sociologia, avendo a mente l’obiettivo di individuare i fattori specifici dell’eccellenza dei territori
Con il Forum dei Territori si è analizzato l’insieme dei comprensori d’eccellenza cui è stata data la denominazione UTECO (Unità territoriali complesse), che sono la più compiuta evoluzione dei distretti e dei sistemi locali. Essi si collocano in una dimensione intermedia fra i grandi contenitori delle mega cities, comunque calamitati dall’esistenza di un grande centro di irraggiamento (Milano, Roma, Torino o Napoli), e la quiete della ricca provincia italiana, delle città ad alta qualità della vita, dei centri piccoli ma con grande storia, arte e architettura, i borghi immersi in un contesto ambientale di pregio.
Sulla base di tali premesse è stato possibile determinare quali fattori determinano le più elevate qualità delle diverse tipologie di territorio (produzione e innovazione, accoglienza, socialità) e si è proceduto a realizzare una prima mappa dell’eccellenze territoriali (p. 3).
Affinché si dia eccellenza, secondo il Censis (pp. 5 e sgg.), «deve manifestarsi una qualche condensazione territoriale che porti a una concentrazione di un seppur limitato reticolo di centri sulla base di contiguità territoriali, ma soprattutto di complementarietà e convergenze». Non bastano le risorse ambientali e storiche, serve «ancora di più la cultura collettiva e la determinazione nel responsabilizzarsi per promuovere lo sviluppo», e l’efficiente organizzazione del territorio, «che comporta innanzitutto un vero attaccamento della comunità ai beni collettivi irripetibili e indivisibili».

Principale nemico dello sviluppo è dunque il conflitto locale, in quanto capace di impedire la messa a punto di strategie comuni e la mediazione degli interessi in gioco, indebolendo la credibilità e l’efficacia dei leader.

«L’eccellenza — inoltre — non è quasi mai mono settoriale, anzi le vere aristocrazie di territorio integrano la tradizionale economia manifatturiera, con il turismo, gli eventi culturali, le nuove tecnologie, gli interventi urbanistici ad alto impatto architettonico». Singoli settori di attività o singole imprese, acquisendo posizioni dominanti sul territorio, possono dunque deprimere le opportunità (e l’iniziativa) di altri attori, assorbendo una quantità eccessiva di risorse economiche e sociali.

Altro pericolo può diventare il localismo, e la chiusura dei territori dentro i confini delle proprie culture e delle proprie tradizioni, che inibiscono le capacità di rispondere ai mutamenti globali e recepire l’innovazione, proveniente dall’interno o dall’esterno: «il territorio eccellente è un territorio aperto e fortemente interessato alle relazioni internazionali».

I fattori di eccellenza di un territorio sono insomma diversi, e diversamente interconnessi, fino quasi a fare di ogni territorio un caso a sé stante. Questo dovrebbe indurre ad abbandonare la ricerca di un (miracoloso) modello di lettura (e di intervento) buono per tutte le occasioni, ed accettare da una parte l’idea che le politiche dall’alto possano risultare inefficaci in quanto farraginose e spesso tardive, e dall’altra che “dal basso” possano mancare le energie e le risorse per avviare lo sviluppo.

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