28 gennaio 2011

Città e territori intelligenti, in un volume di Lorenzo Ciapetti

recensione di Cristina Fabi (*)


E' possibile partire dalla dimensione locale per pensare allo sviluppo di un paese? Con quali politiche e quali mezzi finanziari? Quali sono i meccanismi - sociali, economici e politici - che regolano questi processi? Come è possibile evitare uno sterile e a volte un po' retrivo elogio del “localismo”, che a molti
appare oramai superato, quando non schiacciato, dalla globalizzazione?
Sono queste le domande che guidano le riflessioni di Lorenzo Ciapetti nel volume Lo Sviluppo Locale: capacità e risorse di città e territori (Bologna, Il Mulino).
Fare sviluppo locale significa so soprattutto lavorare sull’identità locale, connettere e mettere in relazione  ... Lo sviluppo locale va inteso come un processo di cooperazione e cambiamento che va oltre la tradizionale dicotomia tra Stato e mercato: i processi di sviluppo locale dovrebbero presupporre coordinamento tra istituzioni, imprese, rappresentanze e cittadini di una comunità, in termini di azione collettiva orientata non solo a fare crescere l'economia locale, ma anche a garantire che questa crescita avvenga con investimenti in innovazione, capitale umano qualificato, creatività e sistemi culturali, efficienza energetica, benessere dei cittadini e capitale sociale.
Secondo l'autore, sul piano concreto si possono distinguere principalmente due famiglie di strumenti concertativi: la programmazione negoziata da un lato, i piani strategici ed i programmi urbanistici complessi dall’altro.
Nella prima rientrano i patti territoriali, i contratti d’area, le intese istituzionali e gli accordi di programma che si differenziano per tipo di contratto. La pianificazione strategica, invece, riveste un ruolo centrale nelle politiche pubbliche contrattuali data la capacità di apportare cambiamenti nelle strategie di decision making, nell’aspetto fisico delle città ed infine grazie alla forza della rete degli attori.
L’esperienza dei patti territoriali, concretizzata in Italia dal 1996 al 2000, è sicuramente il tentativo più importante di implementazione di politiche per lo sviluppo a livello locale, ma il dibattito scientifico che cerca di valutarne l'utilità è ancora molto acceso.
Da una parte, troviamo le voci di chi pensa che i patti territoriali hanno prodotto risultati positivi nel miglioramento della qualità sociale e istituzionale, una maggiore responsabilizzazione degli attori coinvolti, la consolidazione di reti fra istituzioni e soggetti privati ed inoltre la formazione di specifiche competenze nel campo dello sviluppo economico. In alcuni casi fra gli aspetti posiviti si riscontrano anche le condizioni per la crescita di una leadership con un parziale effetto di rinnovamento della classe dirigente.
Dall'altra c'è anche chi, con verdetto impietoso, definisce più che fallimentare l’esperienza dei patti, considerando i deludenti risultati, a fronte dell'enorme dispendio di mezzi economici ed umani.
Secondo Ciapetti, i due punti di vista non possono trovare un punto di incontro, per via dell’incertezza sulla metodologia di valutazione.
Il vero sviluppo esige obiettivi ed indicatori non solo quantitativi (l’accrescimento di posti di lavoro, l’aumento di imprese), ma anche qualitativi (occupazione qualificata, la concertazione, il livello di integrazione fra le politiche, il capitale sociale, il giudizio dei cittadini). Una vera politica di valutazione nasce da una cultura della programmazione strategica e non un mera attività contabile e burocratica ai fini della rendicontazione dei progetti. Una prospettiva di analisi utile alla misurazione è quella che tende a scomporre il processo di sviluppo locale nelle variabili che lo compongono.
Dopo un viaggio fra casi di successo e trappole dello sviluppo dal basso, l’autore individua una serie di nodi da sciogliere per i processi di sviluppo locale in Italia, ovvero:
  • ritrovare e rinnovare la cultura della programmazione, includendo processi di democrazia partecipata;
  • migliorare il collegamento fra politica e politiche, e il coordinamento fra politiche regionali e locali;
  • l'implementazione delle partnership pubblico-privato;
  • maggiori investimenti in capitale umano, ricerca, infrastrutture, e soprattutto una maggiore diffusione dei processi di sviluppo locale.
(*) dottoranda di ricerca in Politiche sociali e sviluppo locale presso l’Università degli Studi di Teramo

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