Successivamente, abbiamo assistito alla pratica del saccheggio, da parte soprattutto di adolescenti - di vari colori e gruppi etnici - che a quel punto sono stati definiti "teppisti" e "ladri". E giustamente: non c'è dubbio che siano ladri quelli che rompono le vetrine dei negozi delle grandi catene di distribuzione per rubare - non pane, come Jean Valjean - ma oggetti di consumo alla moda.
Fra questi, ha troneggiato nelle cronache (almeno quelle italiane) l'IPhone 4, il cui prezzo si aggira in Italia intorno ai 600€ - per molti precari uno stipendio mensile, quello con il quale dovrebbero pagare affitto e bollette, e magari fare pure la spesa. Stupisce quindi che invece di rubare il pane, o di occupare le case (come si faceva nelle rivolte urbane degli anni Ottanta), giovani disoccupati e precari si organizzino per rubare scarpe alla moda, tv led e iphones.
Che l'esclusione sociale provochi in quanto tale il desiderio impellente ed esplicito di possedere un iphone (4, il vecchio è da "sfigati") non sembra molto verosimile. Più probabile che alcuni (o anche molti) abbiano "approfittato" del caos per fare un po' di quello shopping che normalmente è loro precluso. Si vedono i tafferugli in tv, ci si manda qualche sms fra amici, si intravvede la possibilità di avere finalmente il 3DS nuovo nuovo (ultima console Nintendo, 259€ all'uscita), e il saccheggio è organizzato.
Due quindi le interpretazioni ricorrenti in varie forme e con diverse argomentazioni: la crisi economica e l'esasperazione sociale, che individua dunque un filo rosso con gli Indignados spagnoli e le rivolte di Atene; la "cattiva educazione" o la "crisi dei valori" (che sono poi due facce della stessa medaglia, visto che se c'è crisi dei valori, è improbabile che famiglie e scuole siano in condizione di "educare" i ragazzi).
Ma ci sono diverse letture che da tempo conciliano queste due interpretazioni, opposte da un punto di vista politico e delle teorie sociologiche classiche, quella conflittualista e quella funzionalista. La più nota è senz'altro quella di Bauman: essendo il nostro diventato un mondo di consumatori, l'esclusione sociale è (percepita come) esclusione dal consumo (in inglese; in italiano).
a mutiny of defective and disqualified consumers, people offended and humiliated by the display of riches to which they had been denied accessPer non banalizzare, si dovranno però chiarire i caratteri di questo "mondo dei consumatori". Il presupposto è che nelle società occidentali contemporanee il modello del cittadino (e dell'attore sociale) è passato dal lavoratore al consumatore. Partecipazione ed inclusione continuano ad essere misurate in rapporto a quanto ciascuno è in grado di contribuire alla collettività, ma il miglior contributo che un buon cittadino possa oggi dare all'economia e all'ordine sociale è consumare in misura adeguata.
Nel senso comune, un disoccupato (un lavoratore al nero, un evasore fiscale ...) che consuma - ha bei vestiti e begli oggetti - è meno "sfigato" di un lavoratore che risparmia, mette su famiglia, non ha lo smartphone di fascia alta e non va in vacanza. Il modello degli anni Sessanta, semplicemente, si è rovesciato.
In secondo luogo, il consumo deve essere libero da qualunque condizionamento sociale, politico ma anche morale, così come vuole l'economia politica classica. Ognuno deve essere libero di comprare ciò che vuole, e deve poter scegliere liberamente.
Il tema della "libertà" e della "razionalità" del consumatore (svincolate entrambe dall'etica) evidenzia numerose tensioni e contraddizioni. Prima di tutto, per "scegliere" razionalmente, il consumatore dovrebbe essere a contatto con i propri bisogni, mentre si sa il consumismo si basa sull'usa e getta, sulle mode e sull'influenza sociale: il consumatore soddisfatto, dice Bauman, è un pericolo per la società, perché potrebbe smettere di acquistare. Il consumatore è e deve restare un bulimico dello shopping, uno che compra per comprare; uno che compra per soddisfare bisogni che spesso hanno poco a che fare con quello che compra; uno che più compra, più desidera comprare.
Faccio un esempio. Io non amo le automobili. Non mi danno alcun piacere, sono delle cose che svolgono la loro funzione portandomi qui e là e basta. Voglio cose affidabili che durino il più che sia possibile, perché di certo non mi verrà il desiderio di cambiare la macchina (come invece mi capita con il computer o il cellulare). Se tutti comprassimo tutti i generi di prodotto in questo modo, l'economia andrebbe a picco. Forse saremmo più felici in quanto più centrati sui nostri bisogni, o magari invece non avremmo lavoro, e quindi non avremmo reddito: ma proprio questo dilemma può bastare a chiarire la prima contraddizione.
Inoltre - ed è la seconda contraddizione - per poter "scegliere", il consumatore dovrebbe avere un budget adeguato, se non illimitato (nei sogni del consumatore bulimico). E su questo aspetto, tanto la crisi quanto le politiche per uscirne hanno inferto al meccanismo colpi che potrebbero rivelarsi irreversibili. La riduzione dei redditi disponibili ha improvvisamente mostrato che il consumo non è un diritto di tutti, ma un privilegio di pochi.
Ecco quindi che il connubio fra consumismo, recessione e aumento delle diseguaglianze produce le rivolte degli esclusi. Mentre però gli Indignados si mobilitano per il proprio futuro, le rivolte di Londra sono tutte centrate sul presente, e mi sembrano da questo punto di vista ancora più disperate.
Il consumatore vive nel presente, non progetta il futuro, usa la carta di credito (se ce l'ha, altrimenti usa le revolving) senza pensare a come pagherà. E questo orientamento al presente pare essersi oramai proiettato sull'intera esperienza di vita dei nostri adolescenti, spiegando (in parte) come mai alcuni giovani europei senza futuro si organizzino non per riprenderselo o per occupare le case, ma per rubare oggetti di consumo poco durevoli come le scarpe, o come gli stessi iphones e le tv led. Metteranno le tv nuove nel salotto di mamma e papà, oppure le rivenderanno al mercato nero. Poi si vedrà.
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